160 alunni delle superiori, in Sicilia per un viaggio culturale (?) spirituale (?) religioso (?) di parecchi giorni, tema "oltre le colonne d'Ercole", accompagnati da alcuni insegnanti. Provenienza: Modena, Parma, Faenza, insomma luoghi del Nord.
Ci invitano a fare una serata di canti siciliani, e noi accettiamo di buon grado.
Primo problema, il dialetto. Prepariamo un opuscolo con i testi e le traduzioni, cosa molto più impegnativa del previsto. Ci mettiamo le cose più note e quelle meno note, quelle di facile ascolto e quelle ben più impegnative.
Da loro, ci spiegano a cena prima dello spettacolo, la tradizione popolare si è già spenta (tranne forse il ballo liscio, ma è cosa romagnola), ammutolita dalla TV, irrisa dai consumi, castrata dal poco credito che la cultura in cui vivono dà alla tradizione.
E adesso come facciamo - pensiamo preoccupati - a trasmettere i sanguigni e delicati sentimenti della tradizione siciliana? I canti di lavoro? le serenate? la Novena? e in più siamo in formazione minima, decimati dai malanni invernali. E in più i ragazzi sono provati da una gita ad Agrigento iniziata alle sei di mattina. Bah, vedremo.
E infatti, dal palco, abbiamo visto. Quello che è vero e bello, è vero e bello per tutti. Si impone da solo, basta esservi fedeli, nonostante gli intraducibili modi di dire e la musica inusuale per orecchie da metallari, ornate da elaborati piercing.
L'attenzione, la disponibilità a lasciarsi colpire, gli sguardi con gli occhi sgranati, gli applausi a scena aperta, sono stati sinceri.
Ed anche la nostra soddisfazione per aver contribuito ad un viaggio che, fermi restando tutti gli aggettivi usati prima, è semplicemente umano.
Come sempre, il ricavato all'AVSI.
Ci invitano a fare una serata di canti siciliani, e noi accettiamo di buon grado.
Primo problema, il dialetto. Prepariamo un opuscolo con i testi e le traduzioni, cosa molto più impegnativa del previsto. Ci mettiamo le cose più note e quelle meno note, quelle di facile ascolto e quelle ben più impegnative.
Da loro, ci spiegano a cena prima dello spettacolo, la tradizione popolare si è già spenta (tranne forse il ballo liscio, ma è cosa romagnola), ammutolita dalla TV, irrisa dai consumi, castrata dal poco credito che la cultura in cui vivono dà alla tradizione.
E adesso come facciamo - pensiamo preoccupati - a trasmettere i sanguigni e delicati sentimenti della tradizione siciliana? I canti di lavoro? le serenate? la Novena? e in più siamo in formazione minima, decimati dai malanni invernali. E in più i ragazzi sono provati da una gita ad Agrigento iniziata alle sei di mattina. Bah, vedremo.
E infatti, dal palco, abbiamo visto. Quello che è vero e bello, è vero e bello per tutti. Si impone da solo, basta esservi fedeli, nonostante gli intraducibili modi di dire e la musica inusuale per orecchie da metallari, ornate da elaborati piercing.
L'attenzione, la disponibilità a lasciarsi colpire, gli sguardi con gli occhi sgranati, gli applausi a scena aperta, sono stati sinceri.
Ed anche la nostra soddisfazione per aver contribuito ad un viaggio che, fermi restando tutti gli aggettivi usati prima, è semplicemente umano.
Come sempre, il ricavato all'AVSI.
p.s.
come da tradizione se basso scrive contralto postilla...
ho voluto aggiungere un momento della mega-tarantella organizzata e guidata da sopranorusso, mi sembra emblematica del clima ...
a proposito di clima, col freddo che c'era, da buoni nordici, i ragazzi erano fuori in magliettina e noi... in sciarpa e giaccone!